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LEGGE 194 E OBIEZIONE DI COSCIENZA


Il Comitato europeo dei diritti sociali del Consiglio d’Europa rimprovera l’Italia per la condizione di disagio imposta alle donne che intendono accedere alla interruzione volontaria di gravidanza nelle strutture pubbliche. Si evince, difatti, una condizione in cui “considerata l’urgenza delle procedure richieste, le donne che vogliono un aborto possono essere forzate ad andare in altre strutture (rispetto a quelle pubbliche), in Italia o all’estero, o a mettere fine alla loro gravidanza senza il sostegno o il controllo delle competenti autorità sanitarie (clandestinità), oppure possono essere dissuase dall’accedere ai servizi di aborto a cui hanno invece diritto in base alla legge 194/78”. Il Comitato ha dunque dichiarato ammissibile il ricorso della Cgil alla Corte sulla violazione dei diritti alla salute e dei medici non obiettori, sostenendo che tali situazioni “possono comportare notevoli rischi per la salute e il benessere delle donne interessate, il che è contrario al diritto alla protezione della salute”, dichiarando nelle conclusioni che “le donne che cercano accesso ai servizi di aborto continuano ad avere di fronte una sostanziale difficoltà nell’ottenere l’accesso a tali servizi nella pratica, nonostante quanto è previsto dalla legge “. Secondo l’organizzazione di Strasburgo, i sanitari non obiettori sono poi vittime di “diversi tipi di svantaggi lavorativi diretti e indiretti”. Si mostra soddisfatta Susanna Camusso, segretario generale della Cgil, che dichiara: “Una sentenza importante perché ribadisce l’obbligo della corretta applicazione della legge 194. Il sistema sanitario nazionale deve poter garantire un servizio medico uniforme su tutto il territorio nazionale. Questa decisione del Consiglio d’Europa riconferma che lo Stato deve essere garante del diritto all’interruzione di gravidanza libero e gratuito affinché le donne possano scegliere liberamente di diventare madri e senza discriminazioni, a seconda delle condizioni personali di ognuna”. Su posizioni diverse Beatrice Lorenzin, ministro della Salute, che sostiene: “Mi riservo di approfondire con i miei uffici, ma sono molto stupita perché dalle prime cose che ho letto mi sembra si rifacciano a dati vecchi che risalgono al 2013. Il dato di oggi è diverso, dal 2013 a oggi abbiamo installato una nuova metodologia di conteggio e nella relazione che abbiamo presentato al Parlamento recentemente non ci risulta una sfasatura. Ci sono soltanto alcune aziende pubbliche che hanno qualche criticità dovuta a problemi di organizzazione.”. Il sindacato replica: “I dati sono aggiornati alla pubblica udienza che si è tenuta davanti alla Corte europea dei Diritti dell’uomo a Strasburgo il 7 settembre 2015 e non sono mai stati smentiti dal ministero della Salute e dal Governo italiano. Auspichiamo un confronto serio e definitivo che conduca l’Italia a superare questo stato di disapplicazione e disorganizzazione degli ospedali e delle Regioni”.

Nel numero cartaceo di aprile di Informare ho trattato, anticipatamente sul rilievo effettuato dal Consiglio d’Europa, proprio la questione della inadeguata applicazione della legge 194 e dell’incremento dell’obiezione di coscienza. Già i dati pubblicati nella Relazione sulla attuazione della legge 194/78, che stabilisce le norme per la tutela sociale della maternità e per l’interruzione volontaria di gravidanza (IVG) relativamente l’anno 2013, risultano oggettivamente tranquillizzanti, ma poco obiettivi lì dove parziali e ciechi. A conferma la recente testimonianza di Silvana Agatone, presidente della Laiga, la Libera Associazione Italiana Ginecologi per l’applicazione della legge 194/78. La dott.ssa Agatone conferma che la maggior parte dei primari sono obiettori, ma che si contano pure ferristi e portantini, mentre tra coloro che praticano l’interruzione di gravidanza molti stanno andando in pensione. “Scegliere l’obiezione rende la vita sicuramente più tranquilla – dichiara – perché si opera, di fatto, in ambienti ostili. Molti colleghi che fanno aborti dopo i 90 giorni, quindi per motivi medici, vengono puntualmente denunciati. Per non parlare del fatto che i non obiettori non fanno carriera e che ci sono stati casi in cui è stato tolto loro addirittura l’insegnamento”.

Come beffa finale, nonostante la risposta sanitaria non rispetti sufficientemente l’applicazione della legge, il 15 gennaio scorso con decreto legislativo sulle depenalizzazioni varato in Cdm, il governo ha inasprito le multe per le donne che ricorrono all’aborto clandestino, elevandole dai 51 euro, come stabilito nell’articolo 19 della 194, a cifre che possono oscillare dai 5.000 ai 10.000 euro. Un’ulteriore forma punitiva per le donne che aspirerebbero semplicemente al dignitoso rispetto dei loro diritti?

Clicca qui per la lettura del mio articolo ‘LEGGE 194 Vengono prima le donne o prima gli obiettori di coscienza?’ Barbara Giardiello


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