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DONNE DEL SUD: LA DOPPIA EMARGINAZIONE scritto per INFORMARE ottobre 2015


“Sono una donna. Una donna del Sud. Quanto la mia condizione natìa ha influito sul percorso della mia vita?” Nella brama scientifica di cogliere i segreti biologici e psicologici del cervello umano, nella fantasia di individuare e sancire superiorità razziali, qualche anno fa dall’Irlanda del Nord giunse voce di una teoria che stabiliva differenze nei gradi di intelligenza in base alla razza e al sesso. Richard Lynn, professore di psicologia all’università dell’Ulster a Coleraine, ha asserito che la donna sarebbe meno intelligente a causa delle dimensioni più piccole del cranio. Ma non solo. Il ‘Cesare Lombroso’ dei tempi moderni ha volto particolare attenzione al nostro paese, effettuando uno studio intitolato ‘In Italy, north-south differences in IQ predict differences in income, education, infant mortality, stature and literacy’. Con assoluta certezza ha sostenuto che se il nord Italia può essere equiparato al centro-nord Europa, con la massima espressione intellettiva nel Friuli, man mano che si scende lungo lo stivale il quoziente intellettivo si abbasserebbe, toccando la punta minima in Sicilia. La catastrofica eredità sarebbe dovuta alla mescolanza di geni caucasici con geni medio-orientali e nord-africani, pertanto solo le donne di pelle più chiara avrebbero qualche credibilità intellettiva. Una tesi di indubbia, preconcetta mentalità razzista e sessista. Cerchiamo allora di chiarire i punti che segnano distanze incolmabili in Italia. La diseguaglianza di reddito, che non va confusa con la povertà che si riferisce alla parte più bassa della distribuzione del reddito, deve tenere conto di tutti gli aspetti dello stato sociale: la fonte del reddito (il genere di occupazione), il livello di istruzione (anche se sovente non risponde al grado di occupazione), le caratteristiche del lavoratore (età, esperienza, genere), le esigenze personali/familiari (nucleo familiare, numero di figli). L’istruzione è la fonte di arricchimento personale, ma pure la condizione essenziale per la realizzazione professionale e la fonte di reddito. Non a caso a migliore tenore di vita corrisponde generalmente un maggiore livello d’istruzione, per quanto l’Italia sia un anomalo esempio di eccezionalità, lì dove la meritocrazia non rientra sempre tra le doti premianti. Secondo quanto riportato dal Rapporto della Commissione scientifica Bes - Il Benessere Equo e Sostenibile in Italia 2014, realizzato congiuntamente a Cnel - Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro e a Istat - Istituto nazionale di statistica, tra il 2011 e il 2013 si registra un miglioramento degli indicatori sulla formazione, sebbene la crescita resti troppo lenta e esigua per colmare il divario che separa la nostra penisola dall’Europa. In questo quadro quale posizione rivestono le donne nel settore dell’istruzione e della formazione? Gli indicatori segnalano un crescente distacco dai livelli maschili. Nel 2013 la quota di 25-64enni che ha conseguito almeno il diploma superiore vede favorite le donne con 3 punti percentuale, mentre le vede in netto vantaggio, con quasi 10 punti percentuale, nella fascia di 30-34enni laureati. Infine tendono ad abbandonare meno gli studi ed hanno una migliore competenza alfabetica. Ma allora, cosa rende più complesso l’inserimento delle donne nel mondo del lavoro? Di quale forma di discriminazione sono oggetto in famiglia, nel lavoro, nella società, nella politica? Il gap che ancora oggi disegna ‘due Italie’ è una conseguenza della mala gestione politico-amministrativa o nel Sud persiste un retaggio di carattere patriarcale? E quanto la cultura territoriale incide sulle aspettative delle donne, che sono poste (e si pongono) su piani diversi? Il Censis - Centro Studi Investimenti Sociali ha realizzato un’indagine all’interno del progetto europeo ‘Women and media in Europe’, in collaborazione con la Fondazione Adkins Chiti. Attraverso l’osservazione dei contenuti di 578 programmi televisivi di cultura, intrattenimento, informazione, approfondimento, mandati in onda sulle 7 emittenti nazionali (Rai - Mediaset - La7), emerge che l’immagine più frequente nella fascia preserale è quella di ‘donna di spettacolo’. Si è osservato che la figura femminile, generalmente positiva e protagonista, occupa però uno spazio gestito da una figura maschile ‘ordinante’. Donne quindi troppo frequentemente leziose, sorridenti, frivole. Donne protagoniste di spot in cui sono ‘felicemente’ impegnate nella cura di casa e figli, in contesti di vita benestanti. Donne ossessionate dalla cura del proprio corpo, nel perseguimento di armonie e linee da Photoshop. Mi chiedo ancora: “Sono una donna. Una donna del Sud. Quanto la mia condizione natìa ha influito sul percorso della mia vita? E soprattutto quanto ancora influisce sulle giovani generazioni?”. Influisce, inevitabilmente, inesorabilmente. Oltre qualsiasi libertà, oltre qualsiasi contesto sociale, oltre qualsiasi battaglia personale. Influisce a maggior ragione nei piccoli centri urbani, lì dove l’educazione, gli studi, la formazione, l’alto tasso di disoccupazione incidono fortemente sul regolare cammino verso l’autonomia dei giovani di entrambi i sessi. Ma le donne, quanta corresponsabilità hanno nel processo di crescita socio-culturale del Mezzogiorno? Incisiva, naturalmente. Un ruolo determinante lo svolgono (o dovrebbero svolgerlo) proprio le madri del Sud, in un naturale orientamento di uguaglianza-integrazione-parità di genere. E’ indubbio pure che il più grande processo di responsabilizzazione spetti alle Istituzioni, troppo a lungo convenientemente assenti e mute nella compensazione di gravi lacune economico-sociali. Oltre che di riconoscimento di verità storica. E’ indispensabile che la teorizzazione lasci spazio all’applicazione, con programmi di valorizzazione del territorio (ambiente, cultura, patrimonio storico-monumentale, ricerca, innovazione), con opportunità di formazione e incentivazione dell’occupazione (agevolazioni all’imprenditoria femminile e giovanile, detassazione del reddito dal lavoro femminile, monitoraggio sugli abusi contrattuali), con il consolidamento e finanziamento del welfare, con il potenziamento della rete dei centri e degli sportelli antiviolenza. Solo allora potremo definirci una democrazia ispirata all’integrazione, alla parità e al rispetto delle diversità. Da Nord a Sud. Barbara Giardiello


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