La Laiga e la legge 194/78
La Laiga - www.laiga.it - è la Libera Associazione Italiana Ginecologi non obiettori impegnata nell’applicazione della legge 194/78. Nata il 10 giugno 2008, ha come scopo non solo l’applicazione della legge, ma pure la difesa degli operatori e la tutela delle donne che chiedono l’aborto terapeutico, creando una ‘rete di sorveglianza’ che consenta l’attuazione del diritto di aborto in tutte le ASL, come previsto dalla legge. Il 13 settembre 2013 il Ministero della Salute ha emesso un Comunicato Stampa a seguito di un ‘monitoraggio articolato sul territorio relativamente ad alcuni aspetti dell’applicazione della 194, quelli più specificamente legati all’obiezione di coscienza, che arriva fino ad ogni singola struttura e ad ogni singolo consultorio. I dati della relazione indicano che relativamente all’obiezione di coscienza e all’accesso ai servizi la legge ha avuto complessivamente una applicazione efficace’. In sintesi nella relazione viene confermato un progressivo decremento di IVG, secondo un graduale trend degli ultimi anni. E’ possibile consultare il Comunicato Stampa al seguente link -> http://www.laiga.it/images/stories/pdf/la_relazione_annuale_sett_2013.pdf La Laiga contesta tali risultati, sostenendo l’inattendibilità dei dati ufficiali per la diffusa ‘obiezione di coscienza di struttura’. Ciò significa che in molti ospedali italiani le IGV non vengono praticate per assenza di servizi, pertanto i ginecologi ‘obiettori di fatto’ non hanno la necessità di sollevare alcuna dichiarata ‘obiezione’. Si trascurano infine l’ipotesi di un possibile ritorno di aborto clandestino, soprattutto tra le donne straniere, e la differenza sostanziale nei servizi tra le regioni, che non rendono significativo il dato su scala nazionale. L’8 marzo 2014, a seguito del Reclamo collettivo n.87 del 2012, depositato l’8 agosto 2012 dall’associazione International Planned Parenthood Federation European Network (IPPF EN - www.ippfen.org - associazione non governativa che dagli anni ’50 combatte in 172 paesi con il supporto di volontari ‘per rispondere alle esigenze locali per la salute ed i diritti sessuali e riproduttivi’), il Comitato Europeo dei Diritti Sociali del Consiglio d’Europa ha ufficialmente riconosciuto la violazione da parte dell’Italia dei diritti delle donne su quanto sancito dalla 194/78. Come dimostrato dai dati forniti da IPPF EN in corso di giudizio, il numero dei ginecologi obiettori è in continua crescita, tanto da non garantire la sicura applicazione della legge. Ciò naturalmente contravviene all’obbligo di ogni pubblica struttura sanitaria di tutelare le donne nel percorso di scelta alla salute, alla maternità consapevole, all’autodeterminazione e dunque all'aborto. L’articolo 9 della legge 194 cita testualmente: ‘L'obiezione di coscienza esonera il personale sanitario ed esercente le attività ausiliarie dal compimento delle procedure e delle attività specificamente e necessariamente dirette a determinare l'interruzione della gravidanza, e non dall'assistenza antecedente e conseguente all'intervento. Gli enti ospedalieri e le case di cura autorizzate sono tenuti in ogni caso ad assicurare lo espletamento delle procedure previste dall'articolo 7 e l'effettuazione degli interventi di interruzione della gravidanza richiesti secondo le modalità previste dagli articoli 5, 7 e 8. La regione ne controlla e garantisce l'attuazione anche attraverso la mobilità del personale’. Si allega il testo della legge -> http://www.laiga.it/index.php?option=com_content&view=article&id=84&Itemid=58 Il ricorso presentato contro lo Stato italiano per l’accertamento della disapplicazione della legge 194 è una vittoria sicura per la Laiga che, insieme ad altre associazioni, ha partecipato concretamente a tale Reclamo collettivo, ma è innanzitutto una vittoria per tutte le donne. Recentemente si è parlato molto del caso di Valentina Magnanti, una giovane 28enne che, proprio in occasione della decisione del Comitato Europeo di accogliere i profili di violazione prospettati, ha rivelato un suo atroce passato. Era il 2010. Potendo avere figli, seppure portatrice di una rara, maledetta malattia genetica, Valentina non ha diritto alla diagnosi pre-impianto, quindi alla fecondazione assistita. Incinta di 5 mesi, dopo un precedente aborto per una gravidanza extrauterina, scoprì purtroppo che la sua bimba era colpita da quella malattia trasmissibile e terribile. La decisione di abortire fu immediata, ma la sua ginecologa, obiettrice, si rifiutò di intervenire. Dopo una lunga ricerca, solo una ginecologa del Sandro Pertini di Roma si mostrò favorevole. Favorevole ad ascoltare la disperazione di una madre che portava in grembo una figlia destinata alla sofferenza. Favorevole ad accogliere il diritto di una paziente. Iniziata la terapia per indurre l’aborto, subentrò il cambio turno. In sintesi, tra dolori, svenimenti, vomiti ed esaltati attivisti antiaborto con 'antidemoniaci' Vangeli, la povera Valentina abortì da sola, con al fianco il marito Fabrizio a tenerle la mano, in un ‘cesso’ dell’ospedale. Ribadendo che l’aborto non va interpretato come un sistema di controllo delle nascite, che tale esperienza risulta sempre atrocemente dolorosa per qualsiasi donna la compia (tanto in fase decisionale, che operativa), che la prevenzione e dunque una corretta educazione sessuale sono la strada da perseguire, che con un forte sforzo si può comprendere la pari facoltà di scelta dell’operatore sanitario, ciò che replico a voce alta è il diritto all’assistenza sanitaria: l’applicazione di una legge ed il diritto alla salute non possono conoscere rifiuti. Pertanto se l’equilibrio tra le parti sanitarie è tanto sbilanciato, che i vecchi operatori obiettori cambino mestiere! Che diventino magari operatori ecologici, aiutando diversamente l’umanità! E lascino il posto a nuove generazioni professionali che non rinnegano assistenza, comprensione e supporto, perché la legge 194 che piaccia o meno è un diritto.
Barbara Giardiello